«Mi piacerebbe poter dire che abbiamo imparato dalla storia una volta per tutte, ma non posso dirlo, gli spiriti del male stanno ritornando sotto nuove spoglie». Rivivono i fantasmi di ieri, anche vestendo i panni dell’ignoranza. Il timore espresso dal presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier nel suo discorso, pronunciato in ebraico allo Yad Vashem in occasione del quinto World Holocaust Forum, ha trovato tragico riscontro in Italia con la pubblicazione del rapporto Eurispes 2020. Ai ricercatori che li interrogavano sulla loro esatta cognizione della Shoah, quasi il 16% degli italiani hanno risposto dicendosi convinti che lo sterminio in realtà non sia mai avvenuto o, comunque, che si sia verificato in proporzioni ridotte rispetto a quanto invece appurato dagli storici. Quella percentuale, che nel 2004 era ferma al 2,7%, è dunque lievitata incredibilmente, sospinta da un negazionismo che è diventato fonte di odio, di razzismo e di antisemitismo di cui da qualche tempo è sempre più inquinata la vita della nostra società. Sembra insomma si viva un processo di rimozione forzata che è paragonabile, almeno in parte, a ciò che si verificò un po’ ovunque all’indomani della seconda guerra mondiale. Non volevano saperne di Olocausto, ad esempio, i popoli d’Europa che riguadagnavano benessere nel primo tepore di una pace ritrovata, del cibo finalmente abbondante, delle case calde e accoglienti. Non volevano sentire di quegli orrori proprio mentre la vita ricominciava; e forse pesava in fondo ai cuori di alcuni il rimorso di non aver visto o capito, o di avere capito, e aver taciuto. L’umanità spesso dissolve nell’oblio il passato e si ripresenta implacabile sugli stessi abissi, pronta a precipitarvi: a leggere le statistiche, 75 anni dopo la liberazione del campo di Auschwitz, anche oggi in tanti non sanno, per precisa scelta o facile comodità, e la cosa non fa differenza. La smemoratezza contemporanea è probabilmente persuasa che, libera dello scrigno del ricordo, si possa procedere più spediti. In realtà, si avanza in modo frenetico e schizofrenico; si inciampa in equivoci, in abbagli, in spropositi già vissuti e che si pensava superati; si smarriscono i valori, le intuizioni, le creazioni che il tempo aveva donato come patrimonio essenziale. Per questo, oggi come allora, non c’è che un rimedio: parlare alle giovani generazioni, perché sappiano e guidino gli adulti smemorati. «Quelli che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo», ammoniva il filosofo statunitense George Santayana. Starebbe bene come didascalia delle foto dei tanti che ad Auschwitz vanno per scattare selfie mentre si improvvisano equilibristi sui binari che portavano alle baracche del campo. Vale, per tutti, l’invito secco lanciato dal Memoriale di Auschwitz-Birkenau: «Ci sono posti migliori per imparare a stare in equilibrio su una trave del luogo simbolo di centinaia di migliaia deportati alla morte».
+ Vincenzo Bertolone