Mattoni per una politica migliore

Franco CrinòTerritorio uno di noi, territorio “mon amour”: discorsi tutti uguali, fatti da tutta la politica (senza confini e senza particolare ispirazione). In realtà ognuno si perde nei propri pensieri. Se ci mettiamo ad esplorarli è peggio, meglio pensare che questa uniformità geografica e politica data dal “territorio” si chiarisce andando diritto e diretti sui problemi. Gli avvisi di calamità che si rincorrono in queste settimane avrebbero riguardato tanto Oliverio quanto la Ferro. Ma adesso tocca al centrosinistra. La Ferro, indebolita dal suo schieramento naturale, ha dovuto esemplificare i temi. Gli altri, leggi Ncd, hanno scelto di navigare in una zona non meglio precisata. La gente è rimasta a guardare, ha preferito non votare e restare demotivata e deresponsabilizzata. Eppure chiudersi in se stessi significa affidarsi per intero all’impeto di chi comanda. A Roma e a Catanzaro il governo è uguale, l’Alfano marginale o la “supplica” che il suo partito rivolge per entrare in maggioranza in Calabria “ sanno uguale”. Certo, le emergenze sono per tutti: con i rischi per la salute pubblica a causa dei rifiuti che sommergono le strade, la mancata riorganizzazione della rete ospedaliera e dei distretti, il gap infrastrutturale (che passa da mulattiere e strade della morte ed arriva al porto di Gioia Tauro), i Beni Culturali che non vengono valorizzati per generare ricchezza, il fallimento dei commissariamenti davanti alle infiltrazioni mafiose nei comuni (provate o no), il default di tanti municipi, l’occupazione (che secondo l’Istat in Calabria riguarda meno della metà della popolazione), i precari (non compresi nel livello della sicurezza sociale). Chi governa non può pensare che ha di fronte una cosa più grande del suo compito. Noi, invece, dobbiamo recuperare l’orgoglio che ci ha supportato nei successi del passato. In campagna elettorale, limitatamente al nostro territorio (eccolo …), personalmente ho sostenuto le cose più facili e più difficili di questo mondo: il lavoro che serve, che è tanto, può essere dato dalla riapertura dei cantieri, laddove i 120 milioni di euro che il Cipe deve garantire intanto per il tratto di Statale 106 da Antonimina ad Ardore non sembrano fuori portata (ma lo sguardo è anche alle migliaia e migliaia di maestranze che lavorerebbero per la realizzazione del Ponte sullo Stretto, per il quale ho firmato). Ma c’è pure il lavoro che va preso (migliaia le possibilità ) da donne residenti con funzioni di colf e badanti, oggi appannaggio delle extracomunitarie, senza cancellare i doveri di una regolare integrazione. Un lavoro magari detassato, a stesso regime, almeno per i primi tre anni e per l’aspetto contributivo per i giovani che decidano di fare impresa. Risposte parziali sul grave disagio provocato dalla mancanza di lavoro portano ugualmente ad un conflitto sociale, paradossalmente e per fortuna ritardato da questa sorta di rinserramento in se stessi che la gente ha scelto. Dovremmo, in ogni caso e con una terapia d’urto, trasformare, per dirla con Vito Teti, “il conflitto in benedizione“, “il risentimento in riconoscenza” verso uno Stato finalmente attento, “l’autoassoluzione in consapevolezza” dei propri errori (che sono tanti). Sicuramente nella Locride non servono capipopolo a tanto al chilo. Meglio una posizione forte, non ad effetto ma progettuale, dei primi cittadini. Ma è necessario concludere la “improduttiva” discussione sui forestali o sulla salute che non si identifica, come dovrebbe, unicamente con la cura della malattia o con l’attività di prevenzione bensì su “come si sistema la sanità che milita nella politica”.

Franco Crinò

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