La “sfida” della genitorialità

“I vostri figli non sono figli vostri.

Sono figli e figlie della sete che la vita ha di sé stessa.
Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi,
E benché vivano con voi non vi appartengono” (Gibran)

Oggi più che mai, in un tempo, come quello che viviamo, in cui l’ educazione sembra una sfida, sembra sempre più inopportuno definire l’ essere genitori come uno dei mestieri più difficili, ma diventa necessario pensare alla genitorialità come a un lungo e continuo apprendistato per imparare l’arte di essere genitori. E’ un’ arte proprio perché richiede quel dinamismo, quella creatività che permette l’ incontro autentico con l’ altro. Mi piace pensare al genitore come ad uno scultore, che deve essere capace di dar forma, di rendere bella quell’ insieme di argilla che ha davanti…ecco, il genitore ha il compito di fare il meglio con quello che il figlio è, senza la pretesa che il figlio sia altro.. E’ un processo dinamico attraverso il quale si impara a diventare genitori capaci di prendersi cura e di rispondere in modo sufficientemente adeguato ai bisogni dei figli. Processo non solo dinamico, ma soprattutto complesso poiché al genitore viene richiesto l’ adempimento di 4 funzioni principali:

-Funzione PROTETTIVA: è la funzione tipica del caregiver ( colui che si prende cura) che consiste nell’offrire cure adeguate ai bisogni del bambino

-Funzione AFFETTIVA : accogliere le manifestazioni di affetto e manifestare amore ed empatia

-Funzione REGOLATIVA:compito del genitore è promuovere la capacità che il bambino possiede fin dalla nascita di “regolare” appunto i propri stati emotivi e organizzare l’esperienza

-Funzione NORMATIVA: capacità di dare dei limiti, una struttura di riferimento, e corrisponde a quel bisogno di vivere dentro una struttura di comportamenti coerenti

Oltre a queste funzioni ovviamente centrale rimane quella educativa. Si parla spesso e in diversi contesti di educazione. Essa, pur presupponendo dei principi oggettivi ai quali rifarsi, eticamente  e moralmente condivisi, viene veicolata ai figli in modi diversi a seconda di quelli che sono gli stili educativi propri dei genitori. Lo stile educativo è la modalità applicata dal genitore, o chi ne fa le veci, nella relazione con il bambino. Hoffman ha individuato quattro stili educativi:

1. Stile educativo costrittivo basato sul potere fisico. Va dal classico ceffone, alla privazione di oggettiω materiali (giocattoli), alla proibizione di attività piacevoli (uscire a giocare coi compagni), alla sola minaccia di tali cose.

2. Stile educativo costrittivo basato sulla sottrazione dell’affetto.

Consiste nella privazione dell’affetto, della stima, dell’attenzione (“se fai così non ti voglio più bene”, “adesso ti arrangi”;”vai via, non ti voglio vedere”), minacciare di isolarlo o di lasciarlo in casa.

3. Stile educativo induttivo basato sul ragionamento. Ci si rivolge alla razionalità del bambino, facendolo riflettere circa la motivazione delle proprie azioni.

4. Stile educativo induttivo basato sull’empatia. Vengono date al bambino le informazioni che gli permettono di capire i sentimenti degli altri, facendolo riflettere sugli effetti del proprio comportamento sia su se stesso che sugli altri

Certa che, ovviamente, non sia possibile sposare in pieno uno stile educativo, poiché lo stesso è soggetto a variabili quali gli eventi di vita, le condizioni di stress del genitore, le caratteristiche caratteriali della diade genitore/figlio, quelle temperamentali del bambino etc., mi sembra centrale sottolineare come qualsiasi compito educativo e genitoriale non possa non contemplare la necessità di dare e riconoscere il “permesso di esistere”. Sembra un’ovvietà, ma non lo è. Spesso i genitori vorrebbero, o purtroppo vogliono, che i figli siano quello che vogliono loro senza dare il permesso di essere quello che sono, anche diversi da loro. Forse il cuore dell’ educazione dovrebbe veicolare il messaggio  che siamo tutti diversi perché unici e che senza accettazione dell’ essenza di ogni individuo, non può esserci educazione. Educare significa infatti tirare fuori da ciascuno la bellezza e non plasmare a propria immagine e somiglianza.

Antonella Sergi

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