Jobs Act = tensione sociale

Meloni: “FdI-An è per il jobs Italia”. Salvini: “L’unico da licenziare è Matteo Renzi”

Natale è passato e ci si prepara a celebrare il nuovo anno. Le celebrazioni, tuttavia, non per tutti si trasformeranno in felici festeggiamenti. I problemi del nostro Paese sono ancora tutta là, pronti a ricordarci che la luce alla fine del tunnel (della crisi economica) è ancora molto lontana. E, come se non bastassero le condizioni in cui si sta riducendo la nostra nazione da alcuni anni a questa parte, privata non solo della sovranità monetaria ed economica, ma anche e soprattutto di quella politica, le soluzioni degli ultimi tre Governi (Monti, Letta, Renzi) non eletti dal popolo, non sembrano essere soddisfacenti. L’unica triste impresa nella quale sembrano riuscire è quella di aumentare la già preoccupante tensione sociale presente all’interno del Paese. E il riferimento non va ai cosiddetti antagonisti, ma ai lavoratori, di qualunque grado e categoria.

ripresa graficoLa ripresa economica passa, non c’è dubbio, attraverso gli investimenti e l’aumento dell’occupazione. Ma questa premessa non deve ingannare, giacché, se di un livello più alto di occupazione necessita l’Italia, è anche vero che dovrà trattarsi di un’occupazione che dia garanzie serie di stabilità e sicurezza. Soltanto questa strada potrà favorire la tutela e la promozione delle famiglie italiane, nonché della capacità di impresa, e, non meno importante, dell’aumento del tasso di natalità. La classe politica attuale, salvo qualche eccezione, tuttavia, sembra essere sempre più orientata, forse in modo definitivo, verso la stabilizzazione della flessibilità e, dunque, della precarietà del (e nel) mercato del lavoro. É un nuovo modello culturale che ovviamente incide direttamente sulla società e che mira a scardinare inevitabilmente quello ancora (per poco) attuale. E le eccezioni fanno riferimento a quei movimenti che si fanno portatori di istanze, esigenze, modelli e progettualità ben diversi. Sul banco degli imputati c’è in primo luogo la riforma del lavoro, altrimenti detta Jobs act, osteggiata, per diversi motivi, non solo all’interno della stessa variegata piattaforma politica che sorregge l’attuale esecutivo, dalla maggioranza alla minoranza Pd, da Ncd a Scelta civica, ma anche dall’esterno.

In queste ore a criticare il Jobs act è stata, innanzitutto, Giorgia Meloni, Presidente di Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale, che, attraverso la sua pagina Fb, ha dichiarato che “la coerenza in politica è tutto; per il Jobs act prima danno la fiducia in bianco al Governo, poi polemizzano. Noi, invece, abbiamo votato no a un provvedimento che non crea nuova occupazione, non detassa il lavoro e non supera la distinzione odiosa tra lavoratori di serie A e di serie B ma, se possibile, crea addirittura i lavoratori di serie C”. Parole dure, ma chiare, quelle dell’ex Ministro della Gioventù del Governo Berlusconi, che continua: “sul tema del lavoro valgono solo proposte concrete: la vera sfida è rilanciare l’occupazione e per farlo è necessario mettere le imprese nelle condizioni di assumere”. “La proposta di FdI-An – conclude – è il jobs Italia: totale decontribuzione per le nuove assunzioni, 1000 euro netti in tasca al lavoratore e 1250 euro il costo complessivo per il datore di lavoro. Un sistema che produrrebbe centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro e che allo Stato non costerebbe nulla”.

Gli fa eco, seppur da una prospettiva diversa, il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini. che, sempre attraverso Fb, attacca molto duramente il Presidente del Consiglio Matteo Renzi. “Il Jobs Act vale per i dipendenti pubblici, che saranno licenziabili. Anzi no. Anzi forse. Anzi vedremo” – ironizza Salvini, concludendo che – “L’unico da licenziare in tronco è Matteo Renzi”. Il leader del Carroccio ha anche colto l’occasione per attribuirsi qualche merito: “Dopo il casino che abbiamo fatto, non da soli, il governo è stato costretto a restituire i 6 milioni di euro di contributi all’Unione Italiana Ciechi. Ogni tanto una buona notizia! Auguri a tutti i disabili che meritano di più, non di meno”.

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About the Author: Luigi Iacopino