Torino, torna da moschea con amiche e non con figlio maschio, il marito la sveglia a bastonate

giornata-contro-violenzaQuesta è una storia di coraggio. Il coraggio di denunciare e di provare a farcela da sola. La protagonista è una cittadina marocchina, circa 30 anni, madre di 3 figli. Suo marito è possessivo e geloso da sempre, ma negli ultimi anni è diventato anche violento. La picchia ripetutamente, a calci, a pugni, a colpi di bastone. Più volte Amina (nome di fantasia) finisce al pronto soccorso: trauma cranico, escoriazioni, trauma orbitale. Qualche anno fa trova il coraggio di denunciare, nonostante il marito (che da sempre le ha impedito di lavorare) sia l’unica fonte di reddito per lei e i suoi figli. Viene accolta infatti in comunità, ma i figli sono ancora piccoli, patiscono molto l’allontanamento da casa. E poi lui dice di essere cambiato: le promette che le concederà di andare a scuola di italiano. Amina cede dopo qualche giorno, ritira  la querela e torna a casa. Ma come spesso accade, le cose peggiorano. Dopo solo qualche lezione la costringe a ritirarsi dalla scuola, le strappa libri e quaderni. Lavorare? Neanche a parlarne, troppa la gelosia. E poi i documenti dei figli sottratti e nascosti, ed ancora, le botte. Fino a quella mattina di luglio, ultimo episodio di violenza. Amina dorme coi suoi figli, lui la sveglia a colpi di bastone. Il motivo? Il pomeriggio precedente era rientrata dalla moschea in compagnia di qualche amica, anziché essere accompagnata dal figlio maschio quindicenne. Stavolta Amina chiama la polizia: il marito non è più in casa, e i poliziotti la accompagnano al pronto soccorso dove le vengono medicate le ferite riportate. Poi le prime dichiarazioni, Amina ammette di avere paura di denunciare il marito, paura delle sue ritorsioni. I poliziotti la convincono a seguirli al commissariato di Barriera Milano dove, soltanto davanti ad un’agente donna che sa toccare i tasti giusti, finalmente decide: denuncerà tutto, e stavolta non ci sarà remissione di querela. La polizia arresterà il marito dopo poco. Amina e i suoi tre figli sono ora seguiti dall’associazione Rete DAPHNE, che dal 2008 ha accolto e sostenuto 1450 persone, vittime di violenza. Questa è una storia di coraggio, il coraggio di denunciare. La Polizia di Stato  ogni anno investe molto nella formazione di personale, soprattutto femminile, dedicato a ricevere le segnalazioni di violenza di genere. La storia di Amina speriamo serva a incoraggiare le donne che subiscono maltrattamenti ad aver fiducia nelle forze dell’ordine e nelle istituzioni, che saranno a loro fianco anche nel percorso successivo alla denuncia.

fonte  —  https://questure.poliziadistato.it/it/Torino/articolo/68857a302e1d0587330840882

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