Imprese. Costi e assenza materie prime, 75% aziende italiane teme perdita fatturato

Il 17% sta già sperimentando ritardi nei pagamenti

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foto di GNS

(DIRE) Roma, 1 Lug. – L’aumento del costo delle materie prime, unito all’indisponibilità delle stesse, sono per gli imprenditori italiani il fattore di crisi che più degli altri impatterà negativamente sulle prospettive e i programmi di sviluppo nel biennio 2022-2023.

Questo il dato principale da cui parte lo studio ‘L’Italia delle Imprese’, un’indagine di sentiment condotta su 1.800 aziende italiane appartenenti a dieci differenti settori merceologici, realizzata da Allianz Trade, leader mondiale dell’assicurazione crediti, in collaborazione con Format Research.

“L’obiettivo dello studio- afferma Luca Burrafato, responsabile Allianz Trade Paesi Mediterranei Medio Oriente e Africa- è quello di rilevare, descrivere e analizzare l’impatto della nuova crisi internazionale sulle dinamiche delle imprese in termini di ricavi, prospettive di sviluppo, investimenti, fiducia, allo scopo di fornire uno strumento utile a chi è chiamato a navigare in questa nuova crisi”.

Per l’Italia la sensazione di non essere una volta tanto la ‘Cenerentola’ d’Europa è durata poco. I nuovi scenari, emersi dopo l’invasione dell’Ucraina, hanno ridisegnato i contorni economici e sociali del nostro Paese, imponendo alle imprese di rivedere la rotta della loro strategia rispetto alla direzione e alle scelte intraprese con il rilancio post-Covid.

Il rimbalzo del PIL italiano registrato nel 2021 – un record rispetto alla quasi totalità degli altri membri dell’Unione – ha subito, infatti, la doccia fredda della guerra, dell’aumento dei prezzi delle materie prime e naturalmente dell’accresciuto costo dell’energia e non stupisce che, secondo il 76,5% delle imprese intervistate, l’impatto sul fatturato sarà rilevante.

Le difficoltà a far fronte ai fattori di crisi (materie prime, costi energia e crisi delle catene di fornitura) si trasformeranno in un aumento del prezzo dei prodotti per quasi il 60% delle aziende intervistate, alimentando così la spirale inflattiva che già oggi è sotto gli occhi di tutti.

“Nel nostro ultimo scenario- afferma Ana Boata, Head of Macroeconomic & Sectors Research per Allianz Trade- abbiamo mantenuto invariate le previsioni di crescita per l’Italia nel 2022 a +2,6%, grazie ai buoni risultati registrati nei primi mesi dell’anno. Tuttavia, dato l’aumento dei prezzi abbiamo rivisto al rialzo le nostre previsioni di inflazione (+ 6,8% nel 2022 e +3,4% nel 2023) che spingeranno la crescita del reddito disponibile delle famiglie in zona negativa, per la prima volta dal 2012.

I risparmi in eccesso non saranno, infatti, sufficienti a proteggere due terzi delle famiglie dalla spirale inflazionistica di quest’anno. Dato l’aumento dell’inflazione e il calo del potere d’acquisto reale, stimiamo che i tassi di risparmio torneranno alle condizioni di lungo termine pre-Covid, entro la fine del 2022 (-4,8 punti percentuali al 10,8%)”.

Quanto durerà questa crisi è la domanda che tutti si pongono ma ovviamente nessuno conosce la risposta, anche perché in gran parte dipenderà dagli esiti del conflitto in Ucraina e dall’impatto che questo avrà sull’economia globale. In Italia un quarto delle imprese si aspetta che entro la fine dell’anno questi fattori di crisi possano essere contenuti, mentre, quasi il 60% delle imprese ritiene che gli effetti negativi si protrarranno per tutto il 2023.

“Il problema- continua Burrafato- non è la liquidità che ancora abbonda sui mercati, grazie alle iniezioni di risorse garantite dal Next Generation EU e dai Piani di rilancio nazionali, ma la vitalità stessa del mercato e della domanda. Infatti, sebbene l’erogazione del credito potrà risentire della crisi mondiale, questa stessa non inciderà sugli investimenti programmati e il 63% delle imprese, che avevano previsto di investire nei prossimi mesi, conferma che non ha intenzione di tirarsi indietro”.

Non stupisce quindi che, dopo diversi anni di relativa quiete, si riaffacci il “rischio del credito”, quindi, il rischio di insolvenza dei creditori, che già oggi può essere previsto assistendo al peggioramento dell’indicatore, che rivela i ritardi nei pagamenti.

Le imprese che hanno visto aumentare i tempi di pagamento da parte dei propri clienti sono risultate nel 2022 il 17,1% di cui oltre il 27% (ritardi oltre 30 giorni), il 37% (ritardi fino a 60 giorni), il 16% (ritardi fino a 90 giorni), e quasi il 20% (ritardi superiori ai 90 giorni).

Le insolvenze aziendali delle imprese sono rimbalzate rapidamente nella seconda metà del 2020 dopo la riapertura dei tribunali e sono rimaste a un livello piuttosto elevato nella prima metà del 2021, portando a un notevole aumento nel 2021 (+21% a 7.160 casi) nonostante una dinamica più leggera nella seconda parte dell’anno, che si è rivelata più “estesa”, per quanto riguarda i settori.

Il 2022 è iniziato con un numero mensile di insolvenze basso, al di sotto dei valori del 2021 e del 2019. Prevediamo però un rimbalzo nella seconda metà del 2022, che porterebbe a un aumento del +6% per l’intero anno e a una maggiore trazione nel 2023 (+21%). “Guardando al 2023- conclude Boata- la crescita in Italia raggiungerà il +1,5%, così come nell’Eurozona.

Tuttavia, il rialzo dei tassi di interesse diventerà una sfida tanto per il settore pubblico quanto per il privato. Prevediamo un calo del 2% nei margini delle società a causa dell’aumento dei tassi di +100 pb, che avevano già raggiunto i livelli pre-Covid alla fine del 2021″. (Red/ Dire) 06:05 01-07-22

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