Alessandro Fiore: la fotografia per veicolare un messaggio

Oggi siamo in compagnia del fotografo Alessandro Fiore, del quale abbiamo avuto il piacere di condividere alcune foto scattate durante l’ultima Milano Fashion Week. Fiore, pugliese di nascita ma girovago per lavoro ha scattato in diverse parti del mondo, gli abbiamo posto  molte domande riguardo le sue attività.

foto di Alessandro Fiore

A quanti anni hai iniziato ad approcciarti al mondo della fotografia?

Un primo approccio più superficiale l’ho avuto quando ho iniziato a viaggiare, ormai 10 anni fa, ma il momento in cui in concreto ho sentito crescere l’interesse per la possibilità di utilizzarla come strumento di comunicazione è stato durante il primo lockdown.

A quale dei grandi fotografi ti ispiri?

Salgado credo sia in assoluto il fotografo che mi ha stregato maggiormente. Di Helmut Newton adoro il suo lato provocatorio, il suo saper osare.

Dal punto di vista ritrattistico Lee Jeffries è senz’altro una mia personale fonte di ispirazione, come anche dal punto di vista della sensibilità sociale i creativi collage di Uğur Gallenkuş e i bellissimi reportage del mio conterraneo pugliese Angelo Calianno

A quale stile fotografico appartieni di più ?

Non saprei darmi un’appartenenza, sono in una fase di estrema curiosità per ogni stile e cerco di contaminarmi da ognuno per poter sperimentare. Per ora continuo il mio percorso accademico col mio maestro Cosimo Scialpi, poi deciderò dove e se orientarmi su qualcosa nello specifico.

Prediligi le foto a colori o in bianco e nero?

Ammetto di prediligere il fascino immortale del bianco e nero. I colori mi piacciono se decisi e utili a comunicare qualcosa.

Cos’è per te la bellezza dal punto di vista fotografico?

La bellezza per me è emozione. Ciò che ti provoca un’emozione, positiva o negativa incarna la bellezza fotografica. La fotografia deve saper essere commovente, disturbante, creativa o elegante ma mai fredda e anonima. Siamo in un epoca di sovraesposizione, e l’immagine che ti lascia indifferente muore autodistruggendosi subito dopo. La famosa foto del bambino e l’avvoltoio di Carter, nella sua estrema e cruda drammaticità è un limpido esempio di bellezza fotografica per me, non ha bisogno di commenti, ti lacera dentro e ti lascia lì stordito.

Volendo qualcosa di positivo mi viene in mente la bellissima foto del manifestante di piazza Tienanmen. Cosa c’è di più simbolicamente forte di una foto in cui un solo uomo ferma ben 4 carrarmati? E’ un immagine che diventa un vero e proprio manifesto di un mondo migliore.

Com’è cambiato l’approccio con il settore fotografia durante e dopo il lockdown?

Per me il lockdown ha rappresentato un momento di riflessione, uno staccare la spina dallo stress e dalla consueta frenesia. Non è un caso che proprio in quel periodo abbia affinato il mio interesse per la fotografia. Il lockdown e la pandemia ci hanno insegnato a non dare nulla per scontato, anche la semplice passeggiata all’aperto, o il respirare senza una mascherina, e tutta questa maggiore attenzione per me si è tradotta in una maggiore cura del dettaglio, nel cercare la bellezza in un raggio di sole che entra dalla finestra o di un’ape che si posa su un fiore.

Tutti pensavamo che una volta liberi ci saremmo goduti al massimo la vita ma invece poi siamo tornati quelli di prima. Penso che un lockdown periodico volontario sia necessario anche considerando che il pianeta ha respirato senza di noi. Abbiamo bisogno di meno ansia, meno stress e meno inquinamento. Una maggiore sostenibilità eco-psichica aiuta anche l’ispirazione artistica.

Viaggi spesso per lavoro?

No, viaggio spesso per piacere. Sono stato per un periodo al limite del viaggiatore compulsivo, in pochi anni ho visitato 38 paesi. In questi viaggi ci ho solo incastrato ogni tanto la fotografia, solo poche volte è stato il motivo stesso del viaggio, anche perché amo viaggiare il più leggero possibile, e questo si scontra con la pesantezza dell’attrezzatura fotografica.

Qual è il tuo foto progetto al quale sei più legato?

Senza dubbio “L’assenza”, il mio primo fotoprogetto nonché il più sofferto. L’ho realizzato un mese dopo aver detto addio a mia madre e mi ha aiutato a tirar fuori ciò che ho tenuto dentro in quel mese. Rappresenta la mia elaborazione del lutto, nonché il mio personale omaggio a colei che mi ha tanto amato.

Un grazie per quest’intervista a te Federica, e al direttore Fabrizio per la disponibilità. Un saluto a tutti i lettori di ilmetropolitano.it

Contatto Instagram: alessandrofiore.fp

Contatto Facebook: Alessandro Fiore Fotoprogetti

Federica Romeo

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