“Lei non sa chi sono io”

 

“lei non sa chi sono io”

08\12\2012 – Di recente, la Corte di Cassazione si è pronunciata nel decidere la reità o meno della storica frase “lei non sa chi sono io”, frase che, sebbene apparentemente innocente e priva di lesività, spesso accompagna atteggiamenti maleducati e rissosi, lasciando sottintendere una velata minaccia da parte di colui che con arroganza la pronuncia nel corso di liti e alterchi.

Nella Sentenza n. 11621/12, la Suprema Corte ha, infatti, ritenuto che tale espressione può essere, in realtà, limitativa della “libertà psichica” altrui, soprattutto quando viene pronunciata in un “contesto di alta tensione verbale”, ossia nel corso di alterchi o risse . La Corte ha, inoltre, precisato che, al fine di statuire o meno l’idoneità “minatoria” di tale espressione, il Giudice di merito deve fare una valutazione complessiva di tutte le circostanze del caso concreto sotto posto al Suo vaglio, analizzando il contesto nella quale viene pronunciata. Gli Ermellini, infatti, avallando il costante orientamento espresso sul punto, hanno ribadito che, nel reato di minaccia, previsto e punito dall’art. 612 del Codice Penale, l’elemento essenziale della fattispecie criminosa si ravvisa nella limitazione della libertà psichica, limitazione che viene attuata mediante la prospettazione di un male ingiusto che il soggetto agente può cagionare alla vittima, non essendo necessario che, poi, tale stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest’ultima. Ai fini dell’integrazione del reato p. e p. dall’art. 612 C.P., è sufficiente, quindi, la sola attitudine della condotta ad intimorire la vittima ed è irrilevante l’indeterminatezza del male minacciato, purché questo sia ingiusto, possa essere dedotto dalla situazione contingente nella quale viene prospettato, e, ovviamente, sia “credibile”, ossia possa essere astrattamente realizzabile da parte del soggetto agente ai danni della vittima. Pertanto, sulla base di tale convincimento, la Suprema Corte ha ravvisato gli estremi dei reati di minaccia ed ingiuria, ritenendo che la locuzione incriminata “lei non sa chi sono io” si è palesata, nel caso di specie, come una vera e propria promessa di vendetta, e, pertanto, ha annullato la Sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti dell’imputato, rinviando la causa al Giudice di Pace; a nulla è valsa, dunque, la difesa di quest’ultimo, secondo la quale tale espressione era stata utilizzata in conseguenza di un fatto ingiusto da costui subito.

Avv. Antonella Rigolino

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About the Author: Fabrizio Pace

Fabrizio Pace è giornalista e direttore del quotidiano d’Approfondimento on line www.IlMetropolitano.it e dell’allegato magazine di tecnologia e scienza www.Youfuture.it.