Nitrato D’Argento

Metti un Mercoledì sera, quattro amici, una birra e un film da noleggiare. Metti un amico e il suo quesito: esiste un film che parli dell’evoluzione del pubblico cinematografico? La mia risposta: assolutamente sì. Film come Nuovo cinema paradiso, The Artist, Hugo Cabret (per citarne alcuni), ci hanno abituati ad avere al centro della narrazione la storia del cinema, l’esaltazione del mondo cinematografico e i suoi meccanismi.

Nel 1996 accade qualcosa d’inaspettato: Marco Ferreri dirige Nitrato d’argento, un film dove la storia del cinema è l’alibi per raccontare, in realtà, i cambiamenti e le curiosità dello spettatore in sala. Per la prima volta, il vero protagonista di una pellicola è lo spettatore, alle prese con le proprie reazioni emotive e i mutamenti storico-sociali che lo hanno formato nel tempo.

Nitrato d’argento, opera filmica formata per lo più da immagini d’archivio e fiction, pone l’accento, in maniera del tutto originale, sulla condizione psicologica del pubblico, emotivamente coinvolto e influenzato dalle pellicole cui assiste.

La trama del film, per come la intendiamo noi comuni mortali, è semplice: il regista, attraverso il cliché di un film sulla storia del cinema, realizza una pellicola sulla società cinefila che vive le sale cinematografiche dal 1985 (data di nascita ufficiale del cinematografo) al 1996 (anno di produzione del film ed un presente a noi ancora vicino). L’idea di Ferreri è semplicemente affascinante e merita un’analisi più ampia.Siamo soliti, in quanto spettatori, a vivere le emozioni che il grande schermo decide di trasmettere, ma cosa succede quando mittente e destinatario coincidono?

In Nitrato d’argento, Ferreri cura il punto di vista dello spettatore e quindi della comunità cinefila, con le sue narrazioni. Il film accosta le tappe più importanti e fondamentali vissute dal pubblico: dalle “prime volte” del cinema (la prima ripresa di un treno in arrivo alla stazione, il primo bacio tra due protagonisti, la prima scena di nudo), alle scene di dubbio gusto, quelle che il più delle volte hanno potato lo spettatore ad abbandonare la sala.

Ecco che inizia a prendere forma il concetto di censura come elemento fondamentale nella relazione tra pellicola e pubblico. Anche l’immedesimazione del pubblico, nelle situazioni vissute dai protagonisti, è un fattore che Ferreri rileva più volte all’interno di Nitrato d’argento, soprattutto il modo in cui personaggi e interpreti vengono “con-fusi”, attaccati e trascinati dal pubblico in discussioni accese, magari a causa di un ruolo poco politically correct.

Il film di Ferreri prosegue con i vari approfondimenti sociali con un focus sulla norma che fino agli anni Sessanta vietava, per ragioni di sicurezza, l’accesso delle persone affette da handicap o disabilità nelle sale. Ferreri denuncia il decreto inaccettabile e così altamente assurdo attraverso un episodio di protesta che tratta l’occupazione delle sale cinematografiche da parte dei disabili. Sala come luogo di condivisione, anche sessuale, delle “donne dai facili costumi” che, dal buio delle ultime file, gestivano e allietavano i desideri sessuali di un pubblico di giovani talvolta inesperti e in cerca di eccitazione.

Ferreri non lascia fuori dal tributo cinematografico l’importanza di discutere di cinema, un confronto di idee tra esperti e dilettanti critici, quindi la nascita dei cineforum e la comparsa dei primi circoli cinematografici. Le cause che hanno contribuito al cambio di abitudini del pubblico, da attribuire a decisioni legislative, come quella della validità dei biglietti per la durata di un unico spettacolo.

Se fino agli anni Settanta era possibile fermarsi in sala e con il medesimo biglietto assistere a più proiezioni, ora non è più possibile e ciò crea una separazione tra la partecipazione affettiva ed il desiderio di convivere con il film, relegando il tutto alla sfera economica, con il risultato che la burocrazia trionfa sull’emozione del pubblico.

Una perla di Nitrato d’argento (una dritta per gli appassionati del Neorealismo)è l’estratto di Ladri di biciclette: una sezione documentaristica, girata da Ferreri, dove De Sica regista dirige il bambino nella scena dell’arresto del padre; momento filmico in cui il giovane dovrebbe piangere.

Purtroppo non vi riesce, così De Sica inizia a strattonarlo, costretto, in fine, a dargli uno “schiaffo” pur di riuscire a farlo piangere. Nel gesto di De Sica si trova la linea di confine che separa la realtà dalla fiction cinematografica, quella stessa linea percorsa dallo spettatore-attore di questo straordinario capolavoro autoriale.

Ilenia Borgia

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