Reggio, geologia e archeobotanica dalla preziosa fonte di piazza Garibaldi

scavi 3 RCdi Gabriella Lax

Si riaffacia al mondo monumentale la romanità dell’antica Rhegium Julii e lo fa grazie alle vestigia che emergono da quella piazza Garibaldi che avrebbe dovuto regalare un tocco di modernità ed essere utile a smaltire il traffico con un parcheggio sotterraneo e che, invece, potrebbe rivelarsi una fonte di ricchezza molto più immensa. Reggio ed i suoi cittidini si aspettano che i tratti di mura riemersi qualche giorno fa dal terzo saggio mantengano le loro promesse. L’ultima novità è che il Comune di Reggio Calabria potrebbe decidere di utilizzare i fondi per la costruzione del parcheggio per completare invece gli scavi nelle parti “inesplorate” del sottosuolo della piazza. Ma cosa c’era un tempo? Quali piante, quale vegetazione?

Geologia e archeobotanica a piazza garibaldi

L’area di scavo di Piazza Garibaldi, oltre alle vestigia imponenti di una Reggio romana assolutamente inaspettate, potrebbe offrire conoscenze interessantissime su due aspetti particolari della Storia di Reggio: geologia e botanica. Per approfondire l’argomento abbiamo sentito lo storico reggino Franco Arillotta, profondo conoscitore dei segreti celati nel sottosuolo. “Il terreno nel quale si sta operando – evidenzia – presenta la preziosa caratteristica di essere assolutamente libero da intrusioni edilizie, almeno da oltre duemila anni. Questo consentirebbe lo studio delle stratificazioni verificatesi nel corso dei millenni nei depositi fluviali. A Piazza Garibaldi si è, infatti, al centro dell’amplissimo alveo del fiume che dall’età bizantina è denominato “Calopinace” cioè: “bel quadro”, con evidente riferimento alla spettacolarità del panorama che dalle sue sponde si gode verso il mare. E non uso a sproposito questo termine per qualificare quel corso d’acqua perché di certo in epoche non molto anteriori era navigabile nel suo tratto iniziale e doveva avere pertanto un estuario molto largo. “Leggere” la storia che quegli strati del terreno ci possono raccontare, significherebbe accrescere notevolmente le nozioni che abbiamo sulle vicende naturali del nostro territorio a ridosso della città antica. Sarebbe molto importante, quindi, che i geologi reggini prendessero l’iniziativa di condurre un’accurata campagna di rilevamento, esaminando a fondo quanto il profondo taglio del terreno può documentare”. Ma leraccomandazioni non finiscono qui. “Eguale appello va fatto ai nostri botanici – prosegue Arillotta – i quali potrebbero cogliere la magnifica occasione per realizzare uno studio di bioarcheologia e di archeobotanica, sfruttando la medesima circostanza. Dai loro studi verrebbero certamente fuori notizie determinanti per stabilire qual era la realtà botanica di quell’area nel corso dei tantissimi secoli che lo scavo consente di sondare. Potremmo conoscere l’andamento climatico di Reggio per un periodo lunghissimo. Potremmo sapere cosa si coltivava a Reggio prima e dopo l’età romana. Potremmo sapere cosa mangiavano i Reggini”. E, in chiusura, “L’occasione è veramente eccezionale – afferma lo storico – e forse irripetibile. Sarebbe un ulteriore, significativo, illuminante contributo degli nostri uomini di scienza alla ricostruzione di pagine importantissime della nostra storia civile ed economica!”.

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