Dal lockdown al let-down: imprenditori in ginocchio ma non solo per pregare

La testimonianza a G.C., imprenditore calabrese

Antonella Postorino

Sembrerebbe che non sia bastata la “potenza di fuoco” annunciata dal premier Conte, per contrastare le conseguenze devastanti del lockdown. Infatti, ad oggi, sono ancora pressoché invisibili gli annunciati effetti benefici dei decreti “Cura Italia” e “Liquidità”, emanati dal Governo per “tamponare” l’emergenza Corona virus.

In prima analisi bisogna chiedersi quanto lo Stato italiano sia realmente in grado di affrontare la crisi in atto e quella che ne deriverà, e quanto gli strumenti messi in campo siano davvero efficienti ed efficaci in assenza di una visione complessiva a medio/lungo termine, quest’ultima ridotta alla sola certezza dell’indebitamento delle PMI, d’altronde indispensabile per la loro sopravvivenza.

La verità è che le misure fiscali adottate dal Governo in risposta all’emergenza, rischiano di avere importanti ripercussioni sulla spesa pubblica, con il pericolo di far salire il debito, già superiore al 130% del prodotto interno lordo (Pil).

Non bisogna dimenticare che sulle “debolezze” dei provvedimenti, continua ad incidere il risultato di errate valutazioni presenti e passate, assecondate da una burocrazia “cavillosa” e da un apparato di leggi economiche e finanziarie obsolete, elementi che hanno contributo all’indebolimento del tessuto imprenditoriale nazionale, causa principali della distruzione del “made in Italy”.

Inutile fare grandi passi indietro per comprendere che ogni boom economico (o suo tentativo) ha lasciato le conseguenze di valutazioni che sono state in grado di produrre solo illusioni, generando chimere “impagliate” di misure che peregrinano tra il “comodo compromesso” dell’assistenzialismo e la scellerata incidenza degli oneri fiscali e contributivi a carico delle imprese.

In tutto questo processo non sono da escludere i macigni dell’evasione fiscale, della corruzione e le “non observed economy”, che mette insieme il “sommerso” e l’attività criminale, i cui valori incidono sull’andamento del Pil.

Non bisogna, infine, dimenticare che il vero colpo di grazia inflitto all’economia italiana, si è consumato con l’introduzione dell’euro, che in paesi come Olanda e Germania ha permesso l’adeguato livellamento rispetto al costo della vita, invece in Grecia, Italia e Spagna è stata la principale causa dell’impoverimento di massa, della distruzione del sistema produttivo e della penalizzazione fiscale.

D’altronde l’Unione Economica Europea, sta dimostrando anche in questo delicatissimo momento, i limiti di una priorità data esclusivamente agli interessi finanziari, lasciando inalterate le procedure dirette al controllo sui singoli stati membri, in balia di ulteriori insostenibili indebitamenti (resurrezione degli Eurobond, nascita dei Coronabond…).

Insomma, l’Italia è intrappolata in un circolo vizioso che si può interrompere solo con il rigore fiscale, limitando il deficit e riportando il debito su un percorso virtuoso di rientro, ma per fare questo c’è tanto da lavorare e poco da celebrare.

Riconoscendo che l’Italia ha bisogno di una forza motrice in grado di far ripartire l’economia, per pompare soprattutto le misere casse pubbliche, è giusto dar voce alle imprese accertato che queste rappresentino il carburante necessario alla macchina produttiva italiana. È, per questo motivo, doveroso ascoltare la testimonianza di chi adesso si trova con le spalle al muro, appunto gli imprenditori italiani costretti in let-down per colpa del lockdown.

Così ha risposto, ad alcune domande, il signor G.C. titolare di una PMI di Reggio Calabria:

A.P.: Da quando è iniziata la pandemia e il relativo lockdown, che ripercussioni economiche ha avuto la sua azienda nell’immediato?

G.C.: Da quando il COVID19 si è presentato nella nostra quotidianità, quindi tra la fine di febbraio e gli inizi di marzo, e in particolare dopo il 9 marzo, la nostra azienda ha avuto delle ripercussioni economiche catastrofiche, benché non fossimo, in un primo momento, tra le attività obbligate ad abbassare la saracinesca, per via del codice Ateco. Tuttavia la nostra azienda ha risentito notevolmente del blocco di quasi tutte le altre attività produttive. In termini percentuali il nostro fatturato, comparando i dati di marzo 2020 con quelli 2019, ha avuto un crollo pari al 70%. A questo aggiungo che le proiezioni di aprile ad oggi ci danno un -80%, rispetto ad aprile 2019.

A.P.: Facendo riferimento a quanto previsto nel decreto “Cura Italia” del 17.03.20, ha avuto riscontri tangibili sull’aiuto alle imprese?

G.C.: Ad oggi, dopo un mese dal primo decreto “Cura Italia”, non riscontro, nessun frutto tangibile in né in riferimento alla cassaintegrazione per i dipendenti (per la quale le migliori previsioni indicano fine aprile), né riguardo alla moratoria sui prestiti (per i quali le banche guardano i loro interessi con tempi biblici) e neanche all’incertezza sulla sospensione delle tasse e tributi a vario titolo (in merito alle quali date e tipologie cambiano continuamente). L’unica eccezione è quella relativa al contributo di 600euro destinate agli autonomi che soltanto in questi giorni inizia ad essere erogato.

A.P.: Ha riscontrato difficoltà burocratiche nel presentare le richieste di sostegno previste?

G.C.: Credo che in questo periodo, la burocrazia dello Stato italiano, già di suo tanto famigerata e temuta dalle imprese, avrebbe dovuto semplificarsi così da impedire rallentamenti nella ricezione e lavorazione delle istanze, invece, quanto di più triste e demoralizzante, sta succedendo. Cosicché le domande vengono anche rifiutate per cavilli di formale importanza, poco badando alla reale urgenza della gestione delle stesse.

A.P.: Come spiega ai suoi dipendenti che per lo stipendio del mese di marzo dovranno ancora attendere?

G.C.: Ho la fortuna di avvalermi della collaborazione di dipendenti veramente devoti all’azienda, in questo non mi è stato difficile spiegare loro che dovranno aver pazienza e attendere i tempi dell’Inps per vedersi accreditata la cassa integrazione di cui hanno diritto. Aggiungo che mi dispiace, perché ritengo che i dipendenti rappresentino il cuore dell’azienda e solo se tutelati e appagati riescono a fare il bene e gli interessi dell’azienda in modo naturale e con passione.

A.P.: Cosa pensa del nuovo decreto n.23 del 08.04.20, nel quale il presidente Conte ha dichiarato di aver messo a disposizione delle imprese una potenza di fuoco da 400miliardi?

G.C.: il decreto per la liquidità alle aziende è solo fumo negli occhi, un’offesa alla nostra intelligenza e dignità imprenditoriale. In sostanza lo Stato che si auto elogia per aver messo in campo 400 miliardi per il sostegno alle imprese, sotto forma di liquidità, in realtà non finanzia un solo euro. Analizzando il decreto ci accorgiamo di due cose: la prima è che la garanzia dello Stato sul 100% del finanziamento è valida per mini prestiti fino a 25mila euro, e comunque con parametri vincolanti, per esempio: il prestito non può essere superiore al 25% del fatturato del 2019. Inoltre questa garanzia deve essere pagata allo Stato con percentuali crescenti negli anni, dallo 0,25% in su, oltretutto soggetta ad applicazione di interessi da parte della banca finanziatrice. Seconda cosa: i prestiti superiori a 25mila euro, per i quali lo Stato garantisce fino al 90% dell’intero importo, subiscono una valutazione ferrea della banca erogatrice, previa presentazione di una serie di documenti ed attestazioni che certificano la perfetta “illibatezza finanziaria” dell’azienda. Significa che dobbiamo attendere i tempi lunghissimi delle banche, con il rischio di ricevere un diniego. Nel caso in cui tutto andasse bene, verrebbero a gravare sia gli interessi sul prestito da restituire allo Stato, sia quelli dovuti alle banche. In conclusione, quale aiuto sta dando lo Stato? Dovremo restituire tutto con il doppio degli interessi.

A.P.: Ha fiducia nella ripresa dell’economia italiana post covid?

G.C.: Credo nella rinascita delle aziende italiane, nel coraggio degli imprenditori, nella loro genialità ed intraprendenza, nella loro abnegazione e soprattutto nella passione che ci anima e ci riempie di orgoglio. Non credo nel supporto dello Stato, non mi illudo di avere aiuti concreti e tangibili, vedo molta approssimazione, improvvisazione e poco coraggio. Almeno abbiano la dignità di riconoscere a “Cesare quel che è di Cesare”. Non vogliamo assistenzialismo, vogliamo sentirci apprezzati e riconosciuti per quello che facciamo per noi e per il nostro paese. Noi siamo e resteremo il motore dell’Italia.

Considerando che grazie alle piccole medie imprese, l’Italia riesce ancora oggi ad aggiudicarsi il settimo posto nella classifica delle potenze industriali mondiali, bisogna capire con quale ruolo politica nazionale e impresa devono scendere in campo.

Per giocare questa “partita”, occorre un Governo competente a cui poter affidare leggi emergenziali in grado di superare principalmente il gap burocratico, una guida autorevole e credibile a cui gli italiani possano affidare gli straordinari sacrifici che sono chiamati a fare e che dia speranza nel futuro facendo i conti con il “medio/lungo periodo” e quindi, come dice G.C., rendere a “Cesare quel che è di Cesare”.

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