Emozioni pure nell’ultimo libro di Ruggero Pegna “La stanza di Adel”

Nel Talmud, uno dei testi sacri dell’ebraismo, si legge che “Una madre è come una sorgente di montagna che nutre l’albero alle sue radici, ma una donna che diventa madre del bimbo partorito da un’altra donna è come l’acqua che evapora fino a diventare nuvola e viaggia per lunghe distanze per nutrire un albero solo nel deserto”.

Ci sono tanti modi per sentirsi genitori. E ci sono anche tanti modi per sentirsi figli. Non necessariamente serve un legame di sangue. Ce lo dimostrano Riccardo, Laura e Adeliya, i protagonisti dell’ultimo libro di Ruggero Pegna “La stanza di Adel”, pubblicato da Santelli Editore.

Riccardo e Laura sono genitori in cerca del loro figlio. Adeliya è una figlia che senza saperlo è in cerca dei suoi genitori. L’incontro è “imprinting” per tutti e tre. Emozioni ed amore che legano, come dicevamo, subito dal primo sguardo, dal primo sorriso, aldilà della genetica.

Ruggero con il suo modo di scrivere così intimo ci racconta l’adozione come una “favola”, con una cicogna sbadata che a volte porta i bambini nel posto sbagliato, lontano dalla casa a cui sono destinati, lasciandoli ai piedi di un grande albero in una foresta. Ci racconta la vita di Riccardo con i suoi sogni, le sue speranze e le sue paure. Una vita che gli passa davanti mentre si ritrova alla finestra della stanza di Adeliya che fa propria nel periodo in cui lei, ormai adulta, è lontana da casa in cerca delle sue origini.

La penna di Ruggero ci accompagna in questo viaggio, ci fa immergere nei sentimenti contrastanti che vivono i protagonisti, soprattutto in quelli di Riccardo, la voce narrante a cui inevitabilmente ci si affeziona. Il lettore si ritrova a condividere, o meglio a sentire, tutti i ricordi di una vita che gli attraversano la mente e si aprono come “scatole cinesi”. La malattia e i sogni spezzati che però non hanno mai cancellato la speranza dell’avverarsi del desiderio, con la ricerca costante e paziente fino al suo coronamento, di un figlio. E poco importa se quel figlio non ha il suo stesso sangue, se è maschio o femmina, se anagraficamente è straniero. E’ suo figlio perché lo vuole e lo sente. Ma soprattutto perché il fato, a volte bizzarro e incomprensibile, lo ha condotto esattamente dove doveva essere: di fronte ad una bimba che tende le braccia verso la sua mamma ed il suo papà.

Katia Germanò

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