Dionigi tra calcio e religione

DAVIDE DIONIGI –

Attaccante di razza, da sempre. I primi calci al pallone all’età di sei anni con l’Invicta San Faustino, poi il settore giovanile del Modena con l’allora tecnico Gianfranco Bozzao, ex terzino della Juventus anni 60. Sergio Buso il protagonista della sua scalata nel calcio che conta ed ancora l’esordio in prima squadra a 16 anni con i canarini, l’approdo al Milan e da lì l’inizio di una carriera fatta di gol e grandi soddisfazioni. Le scarpe appese al chiodo, allenatore quasi per caso. La storia di Re Davide, di recente allenatore della Reggina, fino a ieri uomo di campo, oggi costretto a guardare le partite in tv. Dionigi parla per la prima volta dopo l’esonero e lo fa in esclusiva a ilmetropolitano.it. Una chiacchierata a trecentosessanta gradi, tra il calcio, la sua passione e la fede che per molti versi gli ha cambiato la vita.

D) E’ stata la Reggina a consacrarti nel grande calcio…

R) 24 gol con la maglia amaranto. Un anno per me straordinario. Mi volevano bene tutti, la tifoseria, la società, è stato il primo campionato da vero professionista. Conclusi vincendo la classifica cannonieri e venni ceduto la stagione successiva. L’amore per la città mi ha portato ad accettare il primo ritorno nell’anno dell’amara retrocessione. Feci l’esordio a Parma segnando due gol, la squadra disputò un grandissimo girone di ritorno, ma non bastò ad evitare quel maledetto spareggio con il Verona e la retrocessione. Mantenendo la stessa ossatura, l’anno successivo, disputammo un campionato di serie B di altissimo livello conquistando la promozione. La mia terza esperienza in maglia amaranto è stata meno fortunata. Poche presenze, nessun gol.

D) Ed un rapporto con Mazzarri non proprio idilliaco…

R) Ma non è vero. Il rapporto con Mazzarri era da giocatore insofferente che capiva di non rientrare nel suo modo di vedere il calcio. Eravamo in tanti. Bonazzoli, Borriello, Ganci, Nakamura.

D) Poi il rigore di Bologna…

R) Anche li fu montata una leggenda. Giocavo poco, avevo voglia di lasciare una impronta, presi la responsabilità di tirare e sbagliai. Momento amarissimo della mia carriera. A gennaio la società decise di cedermi al Bari.

D) Beh, poi tante squadre fra alti e bassi fino alla decisione di chiudere la carriera.

R) L’ultima stagione ad Andria all’età di 36 anni. Avevo ancora voglia di giocare, ma i continui fastidi articolari mi hanno impedito di proseguire.

D) Quando hai capito di avere le caratteristiche per diventare allenatore.

R) Da giocatore non ho mai pensato un giorno di poter allenare. Una volta costretto al ritiro, volendo rimanere nel mondo del calcio, ho tentato questa nuova avventura. La mia idea era quella di iniziare con i ragazzini. I primi contatti ancora con la Reggina, per allenare la squadra Primavera, poi la proposta della Ternana in serie C1. Il cambio gestionale della società rosso verde ha stravolto tutti i programmi. Mi ero quasi rassegnato all’idea di fare l’opinionista nelle varie tv, arrivò, invece, la chiamata improvvisa di D’Addario presidente del Taranto. Fui avvantaggiato dai miei precedenti con la maglia pugliese, la chiamata mi sorprese. Presi il Taranto a metà classifica, lo portai ai play off, perdendo la semifinale all’ultimo minuto con l’Atletico Roma. L’anno successivo il primo posto ottenuto sul campo, ma la penalizzazione favorì la promozione della Ternana, il resto è storia recente sulla panchina della Reggina. Esperienza conclusasi con l’esonero dopo la sconfitta interna con il Cesena.

D) Primo contatto con la Reggina?

R) Lo scorso anno. Non me la sentii di lasciare D’Addario che mi aveva lanciato nel calcio professionistico, una forma di riconoscenza, ma anche la convinzione di portare avanti un progetto iniziato la stagione precedente. Poi i noti problemi finanziari, nonostante il grande campionato, hanno fatto si che il rapporto si interrompesse, a prescindere dalle volontà.

D) Modello a cui ti ispiri?

R) La gestione dei rapporti all’interno dello spogliatoio è fondamentale nel calcio di oggi. Aldo Papagni, mio tecnico ad Andria, in questo senso mi ha dato grandi insegnamenti. Dal punto di vista tecnico-tattico ho studiato tutti e lavorando molto, ovviamente concentrandomi sui sistemi di gioco che schieravano la difesa a tre.

D) Differenze tra Lega Pro e serie B evidenti?

Intensità agonistica maggiore in Lega Pro, la serie B mostra più qualità tecniche e di gioco. Chi arriva dalla categoria inferiore, da tecnico, non trova grandi difficoltà di ambientamento, forse è più evidente per un calciatore. D’altronde esistono per questo motivo diverse categorie.

D) Il calcio una passione ed un mestiere, poi la fede. Quando la conversione e come?

R) Sei anni fa a Taranto, una coppia di domestici, iniziò a farmi qualche domanda sulla mia fede verso Dio, fino ad allora molto superficiale, come tanti. Mi invitarono a leggere la Bibbia per approfondirne la conoscenza. Mi fu regalata, inizia a leggerla, mi appassionò. Da allora cominciò il mio rapporto con Gesù sempre più intenso, fino a riempire i vuoti della mia esistenza. Da quel momento è cambiato il mio modo di vedere la vita, ho dovuto rivedere tanti miei comportamenti e modi di fare. Magari in alcune circostanze continuo a sbagliare, ma cerco di farlo il meno possibile.

D) Quanto dedichi nel corso della giornata alla religione?

R) Dio è ovunque. Prego la mattina appena alzato e la sera prima di dormire. Vado in Chiesa anche durante i giorni feriali. Qualunque cosa accada durante le mie giornate, le riconduco tutte al Signore.

D) Calcio e religione cosa hanno in comune?

R) Tutto ciò che fate, fatelo alla gloria del Signore. Questo è quello che dice Dio. Vale per tutti i settori della vita, non solo per il calcio.

D) Tanti giocatori legati alla fede, soprattutto i sudamericani.

R) Il movimento evangelico nasce in Brasile, per questo motivo dai giocatori sudamericani è più sentito. Oggi si sta allargando in tutto il mondo. L’Italia sta vedendo una grande espansione.

D) Mi dai invece un giudizio su quei calciatori che usano la religione solo per motivi scaramantici?

R) Da condannare, comportamenti senza senso. Dio guarda tutti dall’alto. Non basta nominarlo e fare il segno della croce, sperando che tutto questo basti per fare andare bene le cose. Da calciatore, sbagliando, lo facevo anch’io, sono forme scaramantiche che non servono a nulla e forse anche segno di ignoranza.

D) Hai mai provato a convincere qualcuno dell’ambiente alla conversione?

R) E’ un lavoro quotidiano. Abbiamo l’impegno di trasmettere la parola di Dio. Il mio allenatore in seconda Sibillano si è convertito, come anche Antonio Le Pera, tutti uomini del mio staff.

D) Con chi, tra giocatori e tecnici, hai un grande rapporto di amicizia?

R) Senza dubbio Faraon, attuale portiere del Catanzaro. Ma anche un ottimo rapporto con Nicola Legrottaglie e Chiaretti.

D) Chiudiamo tornando al calcio. Qual è il rammarico più grande di una stagione che per la prima volta non sei riuscito a portare a termine?

R) Il rammarico di non aver potuto fare in toto quello che avevo in mente, ma anche la consapevolezza di aver fatto un buon lavoro con diverse attenuanti. Il dispiacere più grande è ovviamente per i tifosi che mi hanno sempre voluto bene ed incitato anche nei momenti di difficoltà. Ho dato sempre il massimo, probabilmente commettendo anche qualche errore.

D) Hai tanti estimatori e grande apprezzamento anche da parte dei tuoi colleghi. Questo dovrebbe far pensare ad un futuro tutt’altro che incerto.

R) Intanto ho un altro anno di contratto con la Reggina. Spero, comunque vada, di ripartire al più presto, perché ho tanta voglia di tornare in pista. Una volta provata la cadetteria è chiaro che il mio augurio sia quello di ripartire da questa categoria.

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