Halloween, origini celtiche e italiane

di Katia Germanò – Halloween non è una festa americana. A dispetto di quello che si crede non è una festa importata dagli USA. Le sue origini sono molto antiche. Alcuni studiosi le hanno collocate nella festa romana dedicata a Pomona, la dea dei frutti e dei semi, o nella festa dei morti chiamata Parentalia; mentre altri alla festa celtica di Samhain. Il nome della festività, mantenuto storicamente dai Gaeli e dai Celti nell’arcipelago britannico, deriva appunto dall’antico irlandese e significa approssimativamente “fine dell’estate”. Nella tradizione del cristianesimo, la festa di Ognissanti, ufficialmente istituita il 1º novembre dell’anno 840, sovrappone la nuova festività cristiana a quella più antica e pagana in cui i celti rendevano omaggio ai loro dei per il raccolto e facevano riti propiziatori per ingraziarsi il nuovo anno che coincideva con la stagione invernale. E nella notte tra il 31 ottobre e l’1 novembre anche gli dei rendevano un servizio agli uomini: il velo che separava il mondo dei vivi da quello dei morti si assottigliava, permettendo ai defunti di tornare sulla terra, così da finire ciò che avevano interrotto al momento della morte. Il rito del travestimento, durante appunto questa ricorrenza, risale al tardo Medioevo ed alla pratica dell’elemosina, quando la gente povera andava di porta in porta e riceveva cibo in cambio di preghiere per i loro morti da fare nel giorno successivo, dedicato alla Commemorazione dei defunti. Da qui ha origine anche il famoso “dolcetto o scherzetto”, dall’inglese “Trick or treat”, una specie di minaccia verso i padroni di casa se non veniva dato alcun dolcetto in cambio. Questa usanza nacque in Irlanda e Gran Bretagna, anche se pratiche simili per le anime dei morti sono state ritrovate in Sud Italia. Una tradizione vuole anche che i primi Cristiani vagabondassero per i villaggi chiedendo un dolce chiamato “pane d’anima”, più dolci ricevevano e maggiori erano le preghiere rivolte ai defunti del donatore. In Italia, alcune di queste antiche tradizioni possiamo ritrovarle ancora tutt’oggi, ne citiamo, per esempio,  due. A Serra San Bruno, in Calabria, è ancora viva l’antica tradizione del “Coccalu di muortu”. I ragazzini, dopo aver intagliato e modellato la zucca riuscendo a riprodurre un vero e proprio teschio – in dialetto serrese, appunto, “Coccalu di muortu” – gironzolano per le vie del paese con in mano questa loro creazione e, o bussando agli usci delle case oppure rivolgendosi direttamente alle persone che si incontrano per strada, esordiscono con la frase: “Mi lu pagati lu coccalu?”, tradotto letteralmente “Me lo pagate il teschio?”. Invece in Puglia, a Orsara, un piccolo paese montano della provincia di Foggia, la notte tra l’1 e il 2 di novembre si celebra l’antichissima tradizione del “fucacost” (fuoco fianco a fianco): davanti a ogni casa vengono accesi dei falò che dovrebbero servire a illuminare la strada di casa ai nostri defunti che in quella notte tornano a trovarci. Sulla brace di questi falò, poi, viene cucinata della carne che si mangia in strada, tutti insieme, e si offre ai passanti. Nella giornata dell’1, nella piazza principale, si svolge, inoltre, la tradizionale gara delle zucche decorate, definite le “cocce priatorje”, cioè le teste del purgatorio.

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