Sudan. A Khartoum chiudono i ponti: pronte nuove proteste

Fonti “DIRE”: situazione imprevedibile, gente non accetta golpe

Foto di jorono da Pixabay

(DIRE) Roma, 26 ott. – “I militari stanno chiudendo i ponti perché temono che nel pomeriggio ci possano essere nuove manifestazioni di protesta; la situazione resta imprevedibile”: così all’agenzia Dire fonti a Khartoum, all’indomani della destituzione del governo del Sudan da parte dell’esercito.
Secondo le fonti, che chiedono sia garantito il loro anonimato per motivi di sicurezza, “la stragrande maggioranza della popolazione che si è battuta per la democrazia non accetta il golpe” e “nelle prossime ore si capirà meglio la reazione della gente”.
Ieri, in scontri tra dimostranti e militari scoppiati dopo l’intervento dell’esercito con l’arresto del primo ministro Abdalla Hamdok, la proclamazione dello stato di emergenza e l’assunzione del potere da parte del generale Abdel Fattah al-Burhan, sono state uccise almeno sette persone. Almeno 140 i feriti, stando a responsabili del ministero della Salute.
Oggi, con un comunicato letto in televisione, Al-Burhan ha annunciato che il Paese avrà “un governo tecnocratico indipendente”.
“La capitale oggi si è svegliata nel silenzio e almeno nel centro le strade sono rimaste pressoché deserte” sottolineano altri contatti della Dire a Khartoum, che pure chiedono l’anonimato per ragioni di sicurezza. “I ponti sono rimasti aperti mentre la protesta si è spostata sulle reti sociali, anche se l’accesso a internet da dispositivi mobili resta bloccato”.
In primo piano nelle testimonianze raccolte a Khartoum anche le particolarità di un’alleanza di potere “inedita”, che aveva cominciato a manifestarsi mesi fa. “A sostenere il potere assoluto di Al-Burhan sembrano due realtà in passato in contrasto tra loro” spiegano dalla capitale: “Da una parte, ex gruppi ribelli come il Movimento giustizia e uguaglianza e come il Movimento per la liberazione del Sudan, che per anni aveva denunciato discriminazioni a danno delle minoranze del Darfur e che nei giorni scorsi ha convocato sit-in contro il governo di Hamdok; dall’altra, gruppi islamisti, seguaci dell’ideologo Hassan Al-Turabi, il fautore del golpe di Omar Al-Bashir del 1989, accusati di aver escluso dal potere le comunità nere più lontane dalle regioni centrali a maggioranza araba”.
Stando a questa tesi, l’alleanza sarebbe segnata dai richiami al Darfur, regione occidentale del Sudan ostaggio di un conflitto civile a partire dal 2003. “Ambita e sfruttata per l’oro e per il petrolio, si ritrova oggi al comando” riferiscono alla Dire: “Sul Darfur Al-Buhran ha costruito la propria carriera militare, mentre è darfuriano il suo vice, Mohamed Hamdan Dagalo detto Hemedti, così come Gibril Ibrahim, dirigente del Movimento giustizia e uguaglianza divenuto ministro delle Finanze”.

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