‘Ndrangheta: imprenditori fermati dai Carabinieri a Reggio Calabria

Esecuzione di provvedimento di fermo nei confronti di 4 imprenditori reggini, ritenuti partecipi o contigui alle cosche della ‘ndrangheta di Reggio Calabria

Reggio Calabria, 9 aprile 2018 – Nella giornata odierna i Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria hanno eseguito un provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria–Direzione Distrettuale Antimafia nei confronti degli imprenditori reggini:

  1. F.C., cl. 56;
  2. G.A.F., cl. 51;
  3. S.G., cl. 84;
  4. S.M., cl. 57;

F.C. ritenuto responsabile di concorso esterno in associazione mafiosa e concorso in estorsione aggravata dal metodo mafioso; G.A.F. e S.M. dei reati di associazione di tipo mafioso, esercizio abusivo dell’attività finanziaria e trasferimento fraudolento di valori aggravato poiché commesso al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa (quest’ultimo reato contestato anche a S.G.).

Il provvedimento costituisce l’esito di un’articolata attività investigativa, avviata nel febbraio 2017 dai militari del Nucleo Investigativo di Reggio Calabria sotto la direzione della locale Direzione Distrettuale Antimafia, tesa a far luce su un sistema di cointeressenze criminali, coltivate dai citati imprenditori che, sfruttando l’appoggio delle più temibili cosche cittadine (in particolare la cosca “TEGANO”), sono riusciti ad accumulare, in modo del tutto illecito, enormi profitti prontamente riciclati in fiorenti e diversificate attività commerciali.

Le indagini confortano il dato storico, oramai pacificamente acquisito, della commistione di interessi tra mafia ed imprenditoria, che sovente si alimentano e rafforzano vicendevolmente, in un connubio di formidabile capacità intrusiva nel tessuto sociale ed economico. L’indagine odierna, convenzionalmente denominata “Monopoli”, volge in questa direzione, portando alla luce ulteriori esempi di imprese “mafiose” che hanno imposto al territorio un monopolio di fatto, inquinando il libero mercato ed impedendo agli imprenditori sprovvisti di sponsor mafiosi di competere in condizioni di parità.

M.S. ed A.G.

L’avvio delle investigazioni è costituito dalle concordanti dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia riguardo agli imprenditori reggini M.S. e A.G., recentemente coinvolti anche nell’operazione “MARTINGALA” in quanto indagati in concorso per auto-riciclaggio ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. Le rivelazioni dei collaboratori hanno delineato dettagliatamente i profili dei due soggetti, affiliati di lunga data ai “TEGANO” di Archi ed in contatto, in particolare, con il boss G.T., attualmente detenuto. Gli approfondimenti investigativi svolti dai Carabinieri hanno permesso di ripercorrere le fortune del duo imprenditoriale S.-G., che hanno preso il via dall’edilizia residenziale: verso la fine degli anni ’90 realizzano il complesso residenziale “MARY PARK”, fabbricato che ospiterà i locali dell’unica sala bingo cittadina e numerose villette a schiera, in cui era stata riservata la disponibilità di un appartamento a G.T., fratello del boss G.T.. Tale “vicinanza”, nel tempo, ha garantito ai due imprenditori un eccezionale sviluppo economico: gli accertamenti esperiti hanno permesso di documentare il reimpiego dei proventi illeciti della cosca in diversificate iniziative imprenditoriali affidate a S. e G., divenuti nel tempo un tassello fondamentale del sistema di riciclaggio e reinvestimento dei proventi illeciti della “famiglia”. La consapevolezza del proprio ruolo negli affari illeciti dei “TEGANO” e il timore dei provvedimenti che la Procura reggina avrebbe potuto adottare sulla base delle indagini scaturite dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia – già noti all’opinione pubblica – ha indotto S. e G. ad avviare una serie di manovre societarie funzionali a schermare la reale titolarità delle imprese a loro riferibili, sottraendole ad eventuali aggressioni patrimoniali. A partire dal 2016, pertanto, le imprese edili e immobiliari dei due assumeranno l’attuale conformazione in:

  • “E.C. s.r.l.” e “G.G. E.” (fittiziamente intestate ai figli di A.G.,), di fatto gestite da A.G.;
  • “C.I. s.r.l.” e “C. S.r.l.” (fittiziamente intestate a D.M., G.S., G.H.M., rispettivamente cognato, figlio e genero di M.S.) il cui dominus è M.S.,

Il monitoraggio investigativo di A.G. e M.S. ha definitivamente comprovato come le quattro società operassero sotto il loro diretto e continuo controllo. Gli indagati sono stati infatti “immortalati” mentre gestivano personalmente le maestranze sui cantieri edili e i dipendenti degli uffici commerciali, ordinavano materiale presso i fornitori, accompagnavano i potenziali acquirenti nelle visite agli immobili in vendita e tenevano tutti i rapporti con il commercialista di fiducia, tutti ruoli assolutamente incoerenti con gli assetti societari formali.

La sala bingo di Archi

Tra le attività economiche paradigmatiche del rapporto fra S.-G. e i “TEGANO” vi è la sala bingo di Archi, la cui proprietà è da ricondurre, in parti uguali, a G.T. ed al binomio S.–G., con una sostanziale spartizione di utili tra appartenenti alla stessa organizzazione criminale. Dopo l’apertura della sala bingo – avviata nel 2001 ed allocata in un immobile del complesso “MARY PARK” – nel 2008 è lo stesso M.S. a trasferirne la titolarità formale al cognato B.M., mantenendone comunque l’effettiva disponibilità insieme al socio G.. Anche in questo caso ne forniscono evidenza definitiva le attività tecniche sviluppate dal Nucleo Investigativo, che hanno ripreso i continui trasferimenti di denaro contante che M. preleva direttamente dalle casse del bingo e consegna nelle mani dei S. e di G.. Nel corso delle indagini sono stati censiti almeno 15 episodi, fra dazioni e “prelievi”, in grado di mettere in luce come il lucroso esercizio pubblico – capace di fatturare oltre 10 milioni di euro all’anno – costituisca vero e proprio “sportello bancomat” a disposizione dei due soci occulti. Il quadro indiziario ha rivelato, inoltre, come la sala bingo di Archi, unica nel territorio del capoluogo, operasse evidentemente in regime di monopolio imprenditoriale, non certo in ragione di un fisiologico equilibrio fra domanda e offerta nel settore del gioco, bensì in virtù di accordi stipulati dalla famiglia “TEGANO”, titolare dell’iniziativa imprenditoriale, con le altre componenti della ‘ndrangheta cittadina. In tali condizioni, la sala bingo di Archi non poteva che prosperare indisturbata per quasi 20 anni, evidentemente grazie alla forza di intimidazione promanante dal prestigio criminale dei TEGANO e dall’alterazione delle regole del libero mercato da esse derivate. 

Il progetto di apertura della seconda sala bingo nel quartiere Gebbione

Un ulteriore riscontro che consente di attribuire la sala bingo di Archi alla sfera di signoria di M.S. si trae dalle intercettazioni che documentano il progetto di apertura – coltivato dallo stesso S. insieme a C.F. (altro indagato su cui ci si soffermerà a breve) – di una seconda sala dello stesso tipo nel territorio reggino. A partire dall’aprile 2017 S., forte dell’esperienza maturata in tale contesto imprenditoriale, si è attivato per reperire i locali necessari a realizzare una nuova sala bingo nel quartiere Gebbione di Reggio Calabria. In particolare, l’idea di M.S. e del figlio era quella di acquisire una sala già aperta nel comune di Polistena, richiedendo successivamente l’autorizzazione all’A.D.M. a trasferirla nel territorio reggino. Il progetto imprenditoriale non andrà in porto per difficoltà di tipo burocratico. Appare tuttavia quanto mai significativo il dato relativo al luogo in cui i due S. avevano in programma di realizzare la nuova Sala Bingo, individuato – come s’è detto – nel quartiere Gebbione di Reggio Calabria. Dalle dichiarazioni di uno dei collaboratori rientrate nell’indagine, relativamente ad un episodio occorso ad altro imprenditore della Piana di Gioia Tauro con medesime mire imprenditoriali ed indotto a desistere, si comprende come a Reggio Calabria sia preclusa l’apertura di nuove sale in altre zone della città, in ragione della situazione di monopolio della struttura di Archi imposto dai TEGANO. Tuttavia, in virtù di accordi criminali vigenti tra le principali famiglie reggine, proprio il quartiere Gebbione, notoriamente controllato dalla cosca LABATE e svincolato dagli accordi fra le principali cosche del capoluogo, poteva in astratto costituire l’unica area in cui realizzare un’ulteriore sala. M.S. aveva già tentato nel 2014 (in combutta con la famiglia MARTINO di Milano ed unitamente a familiari di C.F. ed A.G.) di estendere i suoi interessi nel settore, aprendo una sala bingo a Cernusco sul Naviglio. Quella esperienza terminò con l’arresto e la condanna di M.S.: come infatti accertato nell’inchiesta “Rinnovamento” della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, questi si era reso responsabile dell’incendio della struttura ricreativa al fine di ottenere l’ingente indennizzo previsto dalla polizza assicurativa.

Autoriciclaggio e abusivo esercizio dell’attività finanziaria

Nel corso delle investigazioni è stata documentata, altresì, l’attività di autoriciclaggio di parte della liquidità prelevata da M.S. presso la sala Bingo di Archi. Tali somme di denaro sono state impiegate dallo stesso S. nell’ambito della gestione della società “C.I. s.r.l.”, come detto in precedenza fittiziamente intestata a D.M.. Inoltre, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e i riscontri operati dai Carabinieri hanno indicato M. e G.S. quali soggetti che, presso le rispettive attività commerciali, erano soliti concedere prestiti agli avventori. I destinatari della linea di credito offerta da padre e figlio erano soprattutto i clienti della sala bingo; allorquando costoro rimanevano sprovvisti di liquidità per continuare a giocare, si rivolgevano a M.S.. Dalla lettura congiunta degli elementi acquisiti si è ricavato con certezza che i S. hanno posto in essere – in un contesto professionale e in modo continuativo e non occasionale – condotte di finanziamento rivolte ad una schiera di svariati avventori delle rispettive attività commerciali.

C.F.

Con riferimento alla famiglia “DE STEFANO” di Archi, gli approfondimenti hanno interessato un terzo imprenditore edile, C.F.. Rispetto a S. e G., assolutamente intranei al sodalizio criminale di riferimento, F. può essere considerato l’uomo d’affari a disposizione della ndrangheta, rispetto alla quale diviene, progressivamente, concorrente esterno. Gli accertamenti volti a ricostruire la sua intera storia imprenditoriale, unitamente agli esiti delle attività tecniche, hanno permesso di ricostruire le numerose cointeressenze imprenditoriali tra F. ed il binomio G.-S., nonché uno storico rapporto di amicizia esistente in particolare tra F. e S.. Il quadro indiziario raccolto ha messo in risalto il ruolo che F. ebbe, nel 2010, nell’ambito dei lavori di ristrutturazione del Museo Nazionale della Magna Graecia di Reggio Calabria; si è accertato, infatti, che, in quella circostanza la cosca “DE STEFANO” aveva imposto, tra l’altro, all’amministratore della “Co.Bar. S.p.a.”, ditta a cui erano stati affidati i lavori in questione, l’affitto un magazzino di proprietà del F. da adibire a deposito temporaneo dei reperti archeologici. La vicenda dei lavori al museo cittadino era stata già oggetto, in passato, dell’indagine “Il principe” e in quella circostanza l’attenzione degli inquirenti fu incentrata su una serie di estorsioni consumate dalla cosca DE STEFANO e sul ruolo di primissimo livello rivestito da G.D.S., figlio del defunto Giorgio DE STEFANO, reggente della cosca. L’odierna inchiesta ha ricostruito doviziosamente le tappe della storia imprenditoriale di F., il cui punto di partenza emerge dalle risultanze giudiziarie del procedimento “Alta tensione”, definito con l’accertamento di attività estorsive consumate in danno di imprenditori edili operanti nei quartieri reggini di Modena e Ciccarello da parte delle cosche CARIDI-BORGHETTO-ZINDATO e delle modalità d’infiltrazione occulta della ‘ndrangheta in quel settore imprenditoriale. In quel procedimento era emerso come tra gli imprenditori vittime di estorsione vi fosse anche F.. Tuttavia le indagini avevano anche accertato come l’imprenditore avesse già significativamente diminuito la sua attività edilizia nei quartieri Modena e Ciccarello, spostandole in quello di Archi e nelle zone limitrofe. Gli accertamenti esperiti dal Nucleo Investigativo nell’ambito di questo procedimento hanno acclarato gli esatti contorni entro i quali C.F. e i suoi familiari decisero di denunciare i fatti di cui erano stati vittima. Il costruttore, infatti, a seguito di quegli accadimenti, aveva richiesto l’intervento dei DE STEFANO per appianare i suoi burrascosi rapporti con i BORGHETTO–ZINDATO del quartiere Modena, e da tale iniziale protezione il rapporto è successivamente evoluto, fino a consentirgli di assumere il ruolo di imprenditore di riferimento della potente cosca; ed infatti, a decorrere dal 2007,  C.F. concentrava nel quartiere Archi e zone limitrofe gran parte delle sue iniziative imprenditoriali, realizzando numerosi, rilevanti complessi residenziali grazie alla protezione offerta dal sodalizio. Si comprende, pertanto, come F. non appartenga a quella categoria di imprenditori subordinati, assoggettati all’organizzazione criminale con l’intimidazione, quanto piuttosto a quella degli imprenditori “collusi” in grado di instaurare con il sodalizio mafioso un rapporto fondato su reciproci vantaggi.

Il sequestro

Alla luce delle complessive risultanze investigative è stato disposto il sequestro preventivo di 16 società con relativo patrimonio ammontante a circa 50 milioni di euro. Inoltre, è stato sequestrato parte del patrimonio personale di C.F. consistente in 120 unità immobiliari e 21 terreni.

comunicato stampa  – Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Calabria

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